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Via Francigena

La Via Francigena nel comune di Castelfranco di Sotto tra Altopascio a Fucecchio   

Il valore storico e religioso dei pellegrinaggi

In vista del temutissimo anno mille, frotte di fedeli cristiani iniziarono a muoversi da ogni parte d'Europa per raggiungere Roma o per imbarcarsi, nei porti dell'Italia meridionale (in primis Brindisi), sulle navi che portavano in Terrasanta. La paura che la fine del millennio portasse con sè lo spaventoso epilogo universale dell'Apocalissi e il bisogno, anche in tale prospettiva, di ricercare un più diretto rapporto con il Dio severo ma pietoso dell'immaginario religioso medioevale spingevano molti cittadini del Vecchio Continente a lasciare le proprie case per andare a visitare le zone sacre della fede cristiana. Tra le ansie e le passioni di una genuina religiosità popolare nasceva, così, la pratica cattolica del pellegrinaggio.

Nel Medioevo, andare a Roma e negli altri Luoghi Santi voleva dire affrontare un viaggio più o meno lungo, ma sempre impegnativo e assai pericoloso, al punto che, come è noto, spesso i pellegrini facevano testamento prima di partire. Tuttavia, il pellegrinaggio rappresentava soprattutto un importantissimo percorso di fede – personale e collettivo al tempo stesso – per entare in contatto con l'Assoluto. Un “contatto” che iniziava sulle mete concrete del viaggio terreno (le reliquie, le basiliche degli Apostoli, la sepolture dei Santi e dei Martiri) e che si sperava potersi concludere con l'ineffabile visione di Dio nell'Aldilà. Era quel “desiderio di Dio”, che animava e sosteneva il cammino del pellegrino, mirabilmente cantato dal Petrarca in un suo celebre sonetto:

 “...e viene a Roma, seguendo ‘l desìo,

per mirar la sembianza di Colui

ch'ancor lassù nel ciel vedere spera.” ( Canzoniere , XVI)

La tradizione dei viaggi verso i luoghi di culto della cristianità si consolidò poi negli anni successivi al 1000 d.C.. I cristiani europei continuarono a mettersi in cammino per andare a pregare nei centri della Fede, spinti dal desiderio di ringraziare il Signore per la mancata “Fine dei tempi” e dalla volontà di rafforzare un rinnovato sentimento di devozione e spiritualità.

I fedeli diretti a Roma seguivano soprattutto le rotte già tracciate dai migranti e frequentate dai piccoli mercanti ambulanti. In tal modo, i pellegrinaggi valorizzavano vie di comunicazione spesso alternative rispetto alle grandi strade utilizzate dagli eserciti e dalle carovane dei signori e realizzavano quotidianamente, nell'esperienza concreta di un "viaggio della preghiera" che affiancava i piccoli spostamenti dei lavoratori indigeni, quell'intreccio tra dimensione spirituale-religiosa e dimensione materiale-terrena che era uno dei tratti caratterizzanti dell'intera età medioevale.

Lo sviluppo di un fondamentale asse viario

Tra il X° e l'XI° secolo, dunque, l'Italia centro-settentrionale divenne un importantissimo crocevia per i “viaggiatori della fede” provenienti da ogni parte del continente europeo. In modo particolare, per i pellegrini che giungevano dall'Europa Nord-Occidentale (Inghilterra, Fiandre, Francia), ben presto andò definendosi una precisa direttrice di marcia che partiva dalla città inglese di Canterbury ed attraversava il vasto territorio francese per poi entrare nel nostro Paese oltrepassando le Alpi presso il Gran San Bernardo o il valico del Moncenisio. Da qui il percorso proseguiva verso sud, attraverso gli spazi aperti ma insidiosi della fertile pianura Padana.

Dopo lo snodo di Pavia, scendendo verso gli Appennini, la via seguita dai pellegrini si sovrapponeva agli itinerari tracciati dai Longobardi nel VI° secolo e consolidati, negli anni successivi, dai Franchi. I primi avevano creato un innovativo canale viario per raggiungere con maggiore sicurezza i propri ducati meridionali (Spoleto e Benevento), evitando le antiche strade romane della Romagna e della Liguria, più comode ma controllate dai nemici bizantini, nonchè minacciate dalla copiosa presenza di malviventi; i secondi lo avevano ampliato e rafforzato per farne un fondamentale collegamento interno tra l'Italia centrale e la Francia.

La dorsale appenninica veniva così superata grazie al valico del Mons Longobardorum, ovvero il Monte Bardone, tra Berceto e Pontremoli: un passaggio che corrispondeva, in pratica, a quello dell'attuale Cisa e che portava i viaggiatori provenienti dal nord Italia tra le valli della Lunigiana e nel Sarzanese. Raggiunto lo scalo marittimo di Luni, alla foce del Magra, seguendo sempre il tracciato longobardo, la strada si riportava verso l'interno in direzione Lucca e da qui continuava per la Val d'Elsa e San Giminiano. Dopo Siena, il cammino dei pellegrini proseguiva attraverso l'Umbria e il Lazio settentrionale, sfruttando qui, per lo più, gli antichi e consolidati percorsi viari risalenti all'epoca romana.

Più precisamente, nell'attraversare le colline del territorio umbro e viterbese (come avveniva già pure per brevi tratti in Lucchesia) l'itinerario di questa strada corrispondeva a quello storico della Via Cassia: anche per tale motivo, oltre che per la destinazione finale rappresentata proprio dalla Città Eterna, i Longobardi chiamavano questo percorso “ Via Romana ”, appellativo poi mutato in "Romea" dal nome dei pellegrini diretti a Roma, detti, appunto, "romei" (mentre gli "iacopei" erano i fedeli che marciavano verso Santiago de Compostela). Tuttavia, nelle carte dell'epoca questa strada la troviamo indicata soprattutto con il nome di “ Via Francigena ”, termine che ne sottolineava la provenienza dalla Francia e che, indubbiamente, rimase maggiormente impresso nella tradizione popolare. Tanto che, terminato il suo lungo percorso alle porte di Roma, anche la via cittadina che attraversava l'abitato dell'Urbe portando i pellegrini in Vaticano si chiamava "ruga francisca", cioè "strada dei francesi".

Tratteggiata dai Longobardi, ripresa dai Franchi e valorizzata dai massicci spostamenti dei pellegrini a partire dal X° secolo d. C., la Francigena divenne ben presto un'importantissima via di comunicazione sull'asse nord-sud: soprattutto ad essa spetterà, per tutto il periodo medioevale, il compito di collegare la penisola italiana con i centri politicamente e culturalmente più vitali del continente europeo.

Occorre precisare, però, che non si trattava propriamente di "una" strada, di un itinerario viario unico e definito come lo intendiamo oggi. La Francigena era, piuttosto, un' "area stradale", ovvero un insieme di percorsi usati in tempi diversi e talvolta con funzioni diverse, a seconda delle tipologie di traffico e delle vicende politiche, topografiche e climatiche delle varie zone. Perciò si potrebbe parlare di "tante" Francigene , per indicare la natura complessa di una via di comunicazione che era formata da più passaggi stradali, ma dislocati lungo una precisa direttrice di marcia e confluenti tra loro in alcuni punti nodali.

Le strade - si sa - sono come "ideali ricami" del mondo, un tessuto connettivo che rende possibile alle persone incontrarsi e relazionarsi. Da sempre la strada è anche una straordinaria metafora della vita dell’uomo, considerato come pellegrino nello spazio di questa terra e nel tempo della sua vita. Homo viator era il termine con cui genericamente il Medioevo indicava lo status dell’individuo nella storia.

Le strade quindi - come luogo fisico concreto e come metafora esistenziale - appartengono a ciò che l’uomo ha di più consueto e insieme di più necessario ed essenziale.

In Europa con le riprese socio-economica e  demografica verificatesi intorno all’anno Mille, tutto un tessuto viario, che con la caduta dell’Impero romano era andato sfaldandosi, venne lentamente ripristinato. Non si tornò certo a riavere quel vasto e complesso reticolo di pietra selciata che alla fine del III secolo abbracciava tutte le terre della romanità (ben 372 strade, per un totale di 78.000 km all’epoca di Diocleziano), eppur tuttavia una grande quantità di direttrici a corta e media percorrenza venne ripristinata grazie all’opera di una pluralità di soggetti ed istituzioni quali abbazie, comunità civiche, signori feudali etc. .

Tra le tante vie che tornarono ad innervare le antiche contrade d’Europa – e che consentirono a pellegrini, mercanti e avventurieri in genere di raggiungere ogni dove - assunse ben presto rilievo e prestigio la tanto celebrata via Francigena, vera e propria arteria internazionale dell’epoca.

Questa strada - che un percepire collettivo non sempre corretto ci ha fatto immaginare come una sorta di autostrada medievale - era in realtà un fascio di tanti piccoli ed esili tracciati che partendo dall´Inghilterra e connettendosi tra loro portavano fino a Roma, allora luogo di approdo di una delle più battute vie di pellegrinaggio, insieme a luoghi come Tours e Vezèlay in Francia, Santiago di Compostela in Spagna e Gerusalemme in Terra Santa.

Gli anni intorno al 990-994 videro il passaggio sulla Francigena di un vescovo - Sigerico di Canterbury – che spostandosi dalla sua sede episcopale in Inghilterra viaggiò su quell’antica strada fino all’Urbe, registrando di tappa in tappa il suo cammino in un diario che risulta oggi assai prezioso per individuare e ricostruire il percorso (o i percorsi) di questa antica arteria.

Intanto una precisazione: la via era detta Francigena da chi la percorreva in direzione nord verso la Francia, e veniva per converso denominata Romea da chi la percorreva nella direzione opposta spostandosi verso Roma.

Questa direttrice dopo aver scavalcato le Alpi e fatto il suo ingresso nella penisola italica si inoltrava anche in Toscana. E proprio in Toscana, tra Lucca e Siena, aveva uno dei suoi tratti più importanti per il rilievo dei borghi attraversati e per l’importanza delle strutture assistenziali incontrate.

Dopo Lucca e superata Altopascio, i pellegrini e viandanti seguendo l'antico tracciato si dirigevano verso Fucecchio inoltrandosi nei boschi delle Cerbaie, territorio allora assai malfamato a causa della presenza di bande di "malandrini" e rapinatori. Territorio che le autorità pubbliche di allora per quanti sforzi facessero, non riuscirono mai a presidiare con successo. Ripetute e continue furono le aggressioni ai viandanti, tanto che da un certo periodo in poi i pellegrini per attraversare "le selve delle Cerbaie" venivano provvisti di regolare scorta armata da parte dei monaci-cavalieri del Tau, che ad Altopascio avevano la loro residenza principale.

Proseguendo nel suo tracciato, prima di giungere a Ponte a Cappiano, la via Francigena lambiva il piccolo villaggio di Galleno, detto allora "Gallena" o anche"Grassa Gallina".

In quest'ultima località, presso la chiesa parrocchiale di San Pietro, proprio a ovest della odierna direttrice Romana-Lucchese, è tuttora visibile e percorribile per alcune centinaia di metri un selciato che gli archeologi identificano con l´antico percorso della "nostra" strada.

E proprio a Galleno esisteva nel medioevo un Ospedale intitolato a San Martino in Greppio, dove persino il re di Francia Filippo Augusto sostò nel 1190 di ritorno dalla terza crociata. L'Ospedale infatti originariamente era luogo di accoglienza e ricovero di pellegrini e viandanti ("ospitale").

Più a Sud, continuando nel sentiero boschivo, si giungeva al luogo detto di Santa Trinita di Cerbaia, più comunemente conosciuto come "Ospedaletto", di cui purtroppo oggi rimane soltanto un toponimo nelle carte. Dunque ancora un luogo di ricovero per viandanti… non è marginale questa notazione, si consideri infatti che in questo tratto (solo 15 km tra Altopascio e l'Arno) la Francigena era costellata ai suoi bordi da ben 10 luoghi di accoglienza, fatto che sottolinea l’assoluto rilievo di questo porzione della strada nel suo segmento toscano.

Ancora più giù il tracciato medievale seguiva grosso modo l'attuale confine tra le province di Firenze e di Pisa, raggiungendo la località di Poggio Adorno (detta anticamente Rosaiolo), nei cui pressi era ubicato l’ennesimo ospedale, quello detto della "malatia" di Querce. Quindi si scendeva in direzione di Ponte a Cappiano, dove già intorno al Mille esisteva un ponte che permetteva ai pellegrini di superare l'Usciana (che Sigerico, in evidente considerazione dello stato delle sue acque, ricorda come aqua nigra).

Raggiunta poi Fucecchio, l'antica Francigena transitava lungo le strade della parte alta del castrum per scendere poi verso l'Arno. E anche per l’Arno, il prelato inglese si produce in una interessante aggettivazione: ”Arne blanca”, ossia "Arno bianco" in evidente e voluta contrapposizione all’acqua nera dell’Usciana... davvero altri tempi!

Superato infine l'Arno e raggiunto l’importante insediamento di San Ginesio, la via Francigena si snodava poi nella Val d'Elsa fino a Siena e giù giù fino alla sua meta: la sede degli apostoli…Roma.

Dalla città eterna erano aperti gli orizzonti per nuovi e più lontani approdi oltremarini: Costantinopoli, la Terra Santa, Gerusalemme... .

Ma queste sono altre storie e raccontano di altre strade e altre vie.